matteite

elio p(e)tri + Il Moro e il Quasi Biondo

Casa circondariale – Pordenone + Casa Aupa – Udine

Partiamo all’inverso come al solito… tipo da ora, mentre saluto i due elio p(e)tri fuori da Marty cosciente di aver perso le chiavi di casa, probabilmente durante il travaso del merchanda di ieri sera prima del terzo concerto. Non ho mai fatto quattro concerti nella stessa giornata (almeno che mi ricordi), non mi sembra proprio e comunque non g’ho cazzi di andare a leggere quattro anni di blog per averne la conferma… La seconda seratina con Betta (mia ex storica che non incontravo da 20 anni) e il resto della squadra del giovedì sera è stata alquanto impegnativa: per mia fortuna o sfortuna questo giro non ho avuto incontri ravvicinati del terzo tipo con un’altra persona, a questo punto del nostro rapporto innominabile, dunque fila tutto liscio. Poche ore di sonno e io, Emi e Andrea passiamo a prelevare quella fava del Liva che chiaramente non si è svegliato. Oggi è il nostro fonico in carcere a Pordenone e nessuno di noi ha mai messo piede in un penitenziario in tutta la vita, figuriamoci per andarci a suonare, confrontarsi con dei detenuti buttando al centro della musica dal vivo. Ma la mia ragione non è solo questa; devo incontrare Manuel, ex Ulan Bator, che è dentro da più di un anno e tramite Piergiorgio, un prete sgaissimo più che anomalo rispetto alla categoria, è riuscito a farmi contattare per questa iniziativa sapendo benissimo della mia più totale agitazione solo all’idea di andarlo a trovare. Ha fatto bene, e questo basta e avanza. Si deve fare due set, uno la mattina e uno verso le 2 del pomeriggio perché il carcere è molto piccolo, e soprattutto super affollato, e dunque gli spettatori arrivano a due rate. La stanza terrà una quarantina di persone, Manuel è uno dei primi a entrare e non fa altro che ringraziarmi. Lo trovo bene, mi emoziono e cerco di non farmi prendere dalla malinconia, anche se al primo brano vado dritto in ipoglicemia come la Sandre, che la prima volta che è passata a trovarlo è svenuta in diretta. Non c’è problema, un detenuto mi passa del tè dolcissimo e mi rimetto in carreggiata. Il Dj Fabbro legge al microfono due righe molto forti, non me le ricordo molto bene, ma so che nel suo spietato cinismo sta dicendo che loro dentro sono i più pericolosi e incazzati di tutti. Passo l’intero concerto a guardare la sua faccia, quella di Piergiorgio accanto e di tutti gli altri seduti su sedie di plastica blu, domandandomi (come farebbero tutti) la motivazione per la quale sono stati internati. Il gig funziona bene, il mio modo schizzato e scenico di suonare i tamburi (che inevitabilmente slittano sul pavimento liscissimo) fa decisamente effetto sui presenti; urlano, ballano, percuotono le finestre, cercano di lasciarsi andare per un’ora in un posto dove di solito non succede assolutamente un cazzo, dove la noia in mancanza di iniziative come questa non è neppure mortale, perché ti tolgono le cinture, ti impediscono perfino di ammazzarti. Il prete commenta intelligentemente e istintivamente i testi di Emi, cerca un dialogo fra noi e gli spettatori, ride interessato ed è molto più rock ‘n roll, ma con le palle dei secondini che girano annoiati per la stanza. A pranzo siamo alla casa dello studente, beviamo del vino di merda e la mia bocca brucia da morire per il lavoro del mio dentista del giorno prima. Il secondo gig è caratterizzato decisamente da tre elementi: un ragazzo indiano di nome Mandip che improvvisa un rap nella sua lingua dirigendoci pure e creando una jam totalmente Asian Dub Fondation, un altro detenuto nero che mi strappa due lacrime ringraziandoci al microfono per la bella musica, l’emozione, la professionalità e per averlo fatto sentire fuori da quel posto per un’ora e terzo elemento sconcertante, aver scoperto tramite Manuel che avremmo suonato di fronte a dei pedofili, a uno che ha ucciso la moglie a badilate o a un altro che ha sgozzato la figlia. Sono cose forti, mentre scrivo ora a mente lucida mi sento fortunato, grazie Manu il tuo disco verrà una cannonata. Sulla via per Udine accompagniamo Piergiorgio a restituire l’impianto voci in affitto al negozio e lui come un principe mi ricompra 30 euro di spazzole, che ho massacrato durante la performance. Siamo stati senza cellulari per tutta la giornata, il dentista mi ha cercato otto volte, lo chiamo e mi spiega che sono intollerante a un cemento ai chiodi di garofano con il quale mi ha fissato le cinque capsule provvisorie il giorno prima, passiamo per Codroipo, mi riapre e smonta tutta la bocca, prende delle nuove impronte dei denti e mi rilancio in strada con gli altri in direzione Udine. Quando arriviamo da Marty sono le 18.30 e si ha giusto venti minuti prima di andare a fare un nuovo sound check a casa Aupa. Qualcuno obiettivamente dice che siamo appena a metà della missione, brindiamo con mia sorella, che ha il week end libero dalla prole, con il Franciacorta regalato da Betta la sera prima. L’eroe del secondo tempo di questa giornata è decisamente Alessandro di Casa Aupa, che veste tipo dodici ruoli diversi, dal cuoco, al fonico, a promoter di questo circolo arci udinese. La logistica sul palco è molto lunga, siamo stanchissimi, ma la cosa che mi rasserena di più è che una volta montata la battera posso inchiodarla selvaggiamente sul palchetto in legno distrutto e non muoverla più per il resto della serata. In ordine facciamo il check con gli elio e poi con Il moro e sarà anche questo l’ordine del concerto. Ho invitato personalmente un sacco di gente mail by mail e quando stiamo mangiando una pasta al volo ne incomincia ad arrivare veramente molta. Tra le varie cose oggi è anche la festa della Matteite, queste al momento sono le due band della mia etichetta e del Pierascador che funzionano meglio e sono orgoglioso di sguinzagliarle in casa! Ci siamo dimenticati il merchanda in studio, scortato dal Ventura, che non vedo da ere, schizziamo a prelevarlo e nel trip probabilmente perdo pure le chiavi di casa, ma me ne accorgerò solo alle cinque del mattino! Boia quanta gente! C’è anche il Toffolo con Luca Basso e Deison, mancano chiaramente tutti quelli connessi all’innominabile e soprattutto tutti gli amici di PN che per lavori e cazzi e mazzi hanno preferito non rischiare le patenti. Bene siamo al numero tre. Salgo sul palco sereno, perché ho un ascolto nel mio monitor, decisamente confortevole, a differenza di quello dell’impianto, che a detta del pubblico manca di voci e basi. Suoniamo precisi, è il nostro terzo e ci mancherebbe pure, forse potremmo fare a meno di provare per un pochino dopo un numero del genere. La gente si complimenta, il Moro come il Viet e Gian dicono che siamo stati impeccabili, mi emoziono pensando ai numeri su “dormire” della giornata  e mi lascio andare pensando al fatto che one of these day mi comprerò per 50 euro, a Codroipo, le pelli nuove. Sono in acqua, esausto, ho bisogno di staccare, di fumare una sigaretta, probabilmente scopare, innamorarmi di nuovo e trovare un lavoro serio ah!? Sono al bar che bevo shottini di vodka rigorosamente con lo staff, quando sento partire la base della primo brano del Moro; giustamente e senza ansie ha incominciato senza Spiderman, ormai Cane. Questo non è un concerto, è un laboratorio musicale, ma soprattutto emotivo. Dopo che suoniamo il secondo brano io in levare e il lento in battere senza riuscire a rientrare con tanto di applausi sentitissimi, capisco che sono libero di fare con il Moro quel cazzo che voglio. Rimango in gonna, sudo come una capra e il jack delle cuffie mi si attacca sulla schiena, accetto la sfida. Improvvisiamo un sacco, il Lento non si accorge in due brani di avermi messo in loop i messaggi guida nelle cuffie, sento a tempo… “ok, ecco il gancio one-two-tree-four “per dieci minuti e così altre segnali morse loopati in altri brani. Il China casca in continuazione, lo prendo e lo sbatto per terra di cattiveria evitando il Mac del Moro, saltano i chiodi, urlo innervosito domandando della birra della quale sono già stato rifornito alle mie spalle,  rinchiodo l’asta del charlie, lancio le spazzole e poi non le ritrovo, mimiamo una partita a ping pong con il Moro che suona a tempo i campioni del tennis della Wii, mi sto divertendo un sacco e il disco dei Liars del pomeriggio in macchina mi ha riportato nei fortunati fine anni ’90, ma io sogno i Cop shoot cop, gioco in un laboratorio sul palco che non è niente poco di meno che una ricerca di qualcosa, di un concerto, di un disco di ormai tre anni prima che dopo più di novanta concerti può essere reinterpretato e suonato in modo ogni volta diverso come fossimo in un ascensore o come in un bosco o una chiesa o una biblioteca, la dinamica è fantasia, quello che abbiamo da dire dipende molto da come siamo messi dentro, come quando urlo al mic che nel pomeriggio ho suonato di fronte a dei pedofili e non avrei voluto farlo. Alla fine ringrazio tutti e Lore mi filtra il mic con il Chaos Pad. Non vendiamo dischi, ma riceviamo tonnellate di complimenti. La serata è stata una bomba, meglio della prima al No fun. All’idea di smontare mi viene da vomitare, passo una splendida oretta a parlare di Manuel con Luca Basso e Davide che vedo veramente di rado, quando è il momento di caricare mi ribalto per le scale dell’ex scuola elementare con tutto il morto delle aste rischiando di ammazzarmi e distruggere la scheda audio (devo ancora controllare se funziona), Marty sta parlando con il fratello del suo ex, alzo le antennine e non spero nel peggio. Sgrassie a chi è così curioso che è riuscito a leggere fino alla fine di questo blog infinito della giornata più infinita ed emozionante degli ultimi anni. Grazie a te Gian per la giornata!